Chiedersi cos’è Expo a meno di un mese dalla fine può sembrare paradossale. Eppure, l’esigenza di riflettere su questa domanda mi è venuta proprio sentendo la confusione che aleggia in merito tra i (potenziali ed effettivi) visitatori. E dopo cinque mesi passati a percorrere in lungo e in largo il milione di metri quadrati occupati da clusters, padiglioni, ristoranti e spazi verdi, credo di poter esprimere un parere dall’interno. Prima di tutto, è bene sfatare alcuni miti che caratterizzano le aspettative sull’evento. Il primo, sostenuto da quelli che chiamerò gli “assaggioni”, è che l’Expo sia una grande “fiera dell’agroalimentare”. Un luogo dove poter passeggiare tra file di bancarelle colme di cibo, riempiendosi la pancia bevendo e mangiando, senza ovviamente sborsare un euro. All’estremo opposto troviamo la posizione degli “illuminati”, coloro che invece credono di entrare in una sorta di grande Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove dal mattino fino a sera si possano ascoltare sermoni sulle sorti del pianeta. Con queste premesse, mi sento di dire che entrambi i gruppi sono probabilmente rimasti delusi. L’Expo non è né una sagra né un iperuranio di concetti. Per non rischiare di capire soltanto ciò che l’Expo non è, occorre partire da due punti fermi quando si ha a che fare con l’organizzazione di un evento: quale messaggio si vuol inviare e a chi, ovvero il target. Due elementi strettamente collegati, in quanto sarebbe ingenuo pensare di parlare senza pensare agli interlocutori che si hanno di fronte. Per quanto riguarda il primo punto, “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” è, chiaramente, un tema ambizioso. Lo sviluppo sostenibile, l’alimentazione globale e la capacità dell’uomo di coniugare le proprie attività e il proprio sostentamento con l’ambiente sono tra le sfide più grandi che abbiamo di fronte. Da questo punto di vista, Expo Milano 2015 ha diretto l’attenzione dell’opinione pubblica verso la giusta direzione. Ma siamo sicuri che gli “assaggioni” sarebbero felici di venire distratti dalle loro abbuffate con noiose paturnie sulla moderazione del consumo alimentare, eccetera? Ed ecco che dobbiamo quindi confrontarci con il secondo punto, ovvero il target. Quando parliamo di esposizione universale parliamo del più grande evento che esista al mondo, che si stima arriverà, in questa edizione, ad accogliere circa 20 milioni di persone in 6 mesi. Quando gli “illuminati” affermiamo che l’Expo deve trasmettere un messaggio, sono davvero sicuri che tutte queste persone siano sbarcate a Milano con la volontà di trovarsi immersi in discussioni infinite e, da cittadini attivi modello, parteciparvi pure? Expo ha dovuto fare i conti con queste due posizioni contrastanti e, per quanto possibile, ha cercato di proporre una sintesi che permettesse di veicolare una tematica così complessa in modo comprensibile a tutti, non tralasciandone l'aspetto attrattivo. Il senso ultimo di una esposizione universale è proprio quello di riunire punti di vista, modelli perfino contrastanti (vedi McDonald’s e Slow Food), in un unico luogo di discussione, “esponendoli” poi ai visitatori. I quali, ognuno secondo la propria sensibilità, vengono invitati a riflettere su ciò che il resto del mondo propone. Visitando Palazzo Italia, ad esempio, possiamo ammirare La Vucciria di Guttuso, stupendo quadro che ritrae il mercato come un simbolo di relazioni sociali solide e durature. All’estremo opposto del Cardo, invece, il Supermercato del Futuro elimina al massimo l’interazione tra le persone, affidando alle macchine gran parte delle attività. Expo ha quindi fatto emergere domande più che risposte, fornendoci degli strumenti per riflettere. Un aspetto tutt’altro che irrilevante. Inoltre, molte aspettative sono nate dalla scarsa informazione. Visitatori “assaggioni” di Palazzo Italia si sono lamentati per la mancanza di cibo all’interno di “Padiglione Italia”, senza sapere che in realtà Padiglione Italia comprende tutta l’area del Cardo – non solamente la mostra del Palazzo - e che quindi è costellato di assaggi regionali, luoghi dove fare l’aperitivo o dove ristorarsi con un buon gelato. Gli “illuminati” invece forse non tengono conto che Milano è diventata un’arena in cui si è riunita la gran parte dei leader mondiali, istituzioni di ogni genere e rappresentanti della Società Civile, i quali hanno avviato tavoli, stretto accordi e avviato relazioni più o meno formali destinate a cambiare le sorti del Pianeta. Per concludere, Expo Milano può essere definito come un successo se pensiamo alla sua complessità, alla serie di attori coinvolti nelle discussioni e alla mole di persone mobilitate sia tra i lavoratori che tra i visitatori (nonché al grado di soddisfazione). In poche parole, è un successo se viene considerato un’esposizione universale, non una sagra né un convegno permanente. Poco male se ha deluso sia gli “assaggioni” che gli “illuminati”. Con la convinzione che né gli uni né gli altri avrebbero gradito un evento che seguisse le loro stesse aspettative.
