Ancora una volta la CEI entra a gamba tesa nel mondo LGBTI, gravissimo che lo faccia schierandosi contro la proposta di legge sull'omotransfobia, in discussione in questi giorni alla Camera.
Dura la presa di posizione di Arcigay, così come è stato evidenziato nel comunicato stampa che vi allego:
"Addolora ma non sorprende ritrovare la CEI sulle barricate di chi contrasta ogni ipotesi di legge per tutelare dall'odio e dalla violenza le persone lgbti, specie giovani e giovanissime": Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay, ribatte a muso duro alle posizioni della CEI sulle proposte di legge contro l'omotransfobia, in discussione alla Camera. "Lo spauracchio della legge liberticida o del reato di opinione, del tutto infondato, impallidisce dinanzi alla quotidianità martellante dell'odio e della violenza di origine omotransfobica. L'Italia è l'unico Paese dell'Europa occidentale a non avere legislazioni a prevenzione e contrasto di questi fenomeni e questo è il motivo per cui siamo in coda in ogni classifica europea. Le forze politiche hanno il dovere di dare una risposta alle tantissime persone che hanno subito e subiscono violenze, approvando un testo di legge efficace e concreto, che cominci finalmente ad aggredire il fenomeno. E hanno il dovere di farlo tenendo la CEI fuori dalla porta, stigmatizzandone la scompostezza e il tentativo bieco di eterodirezione e ristabilendo i principi della nostra Carta costituzionale. Già in passato, le gerarchie ecclesiastiche si sono schierate clamorosamente dalla parte dei violenti, coprendo crimini agiti spesso proprio da chi vestiva l'abito talare. E la storia ci ha mostrato che i pastori che proteggono i violenti fanno estinguere il gregge. L'auspicio è che le parti più sane delle istituzioni cattoliche - conclude Piazzoni - quelle che combattono veramente la violenza, sappiano correggere questa deriva e smentire nei fatti le parole dei vescovi", conclude Piazzoni.
Torna più che mai attuale, in questo periodo storico la frase "Libera Chiesa in libero Stato", frase coniata da C. de Montalembert e pronunciata più volte da Camillo Benso Conte di Cavour, fra l’altro, nel discorso al Parlamento con cui appoggiò l’ordine del giorno che acclamava Roma Capitale d’Italia (27 marzo 1861). Il motto rimase nell’uso pubblicistico e storiografico, come aforisma efficace del pensiero dello statista sulla soluzione della questione romana nella nuova situazione determinata dalla costituzione del Regno d’Italia. È ispirata a quel pensiero la visione del liberalismo italiano nei confronti del problema dei rapporti fra Stato e Chiesa, cosa che, purtroppo non sempre si è attuata.